
La questione della responsabilità dei soci per i debiti di una società di capitali dopo la sua estinzione e cancellazione dal Registro delle Imprese rappresenta un aspetto delicato, specie quando entrano in gioco ingenti debiti fiscali.
La problematica si accentua quando la società, prima di estinguersi, ha occultato attivi milionari, omettendo di dichiararli e di inserirli nel bilancio finale di liquidazione. Diventa quindi fondamentale stabilire se i soci possano considerarsi al riparo da qualsiasi pretesa erariale, invocando l’art. 2495 c.c. e la mancata percezione di utili da tale bilancio.
La Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, con la recente sentenza n. 28256 del 2025 (clicca qui per consultare il testo integrale della decisione), ha fornito una risposta netta, ribadendo la natura successoria della responsabilità dei soci e l’irrilevanza, ai fini dell’azione del Fisco, del fatto che gli attivi non siano transitati nel bilancio di liquidazione.
Il caso
La vicenda giudiziaria trae origine da un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate a due ex soci di una Srl, avente una ristretta base partecipativa. L’Amministrazione Finanziaria contestava alla società, e per essa ai soci quali successori, l’omessa dichiarazione (ai fini Ires, Iva e Irap) di una ingente plusvalenza.
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Leonarda D’Alonzo
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I fatti, definiti pacificamente non riportati in bilancio, erano i seguenti: la società aveva venduto un terreno edificabile al prezzo di 21 milioni di euro, a fronte di un costo di acquisto di poco più di 2 milioni. Poco dopo questa operazione milionaria (vendita il 27.7.2005), la società era stata posta in liquidazione (21.10.2005) e cancellata con estrema rapidità dal Registro delle Imprese, senza dichiarare la plusvalenza e senza pagare alcun tributo.
I soci impugnavano l’atto impositivo, sostenendo, in sintesi, che a seguito dell’estinzione della società non fossero tenuti a rispondere dei debiti sociali, non essendovi prova che avessero percepito alcunché sulla base del scarno bilancio finale di liquidazione. Sia la Commissione Tributaria Provinciale che la Commissione Tributaria Regionale accoglievano la tesi dei contribuenti.
I motivi del ricorso
L’Agenzia delle Entrate ha presentato ricorso in Cassazione affidandosi a due motivi principali, entrambi accolti dalla Suprema Corte.
Il primo motivo denunciava la nullità della sentenza della CTR per omessa pronuncia (violazione dell’art. 112 c.p.c.).
L’Agenzia aveva infatti specificamente contestato in appello la violazione del divieto di abuso del diritto, sostenendo che l’intera operazione di liquidazione e cancellazione, posta in essere subito dopo aver incassato 21 milioni di euro “in nero”, fosse inopponibile al Fisco.
La CTR, pur menzionando i fatti e arrivando a definire “del tutto evidente il comportamento fraudolento posto in essere dalla società”, aveva poi omesso di trarne conseguenze giuridiche, non pronunciandosi sulla censura di abuso del diritto.
Il secondo motivo censurava la violazione e falsa applicazione dell’art. 2495, secondo comma, c.c. La CTR aveva ritenuto che i soci di una società di capitali estinta, ancorché a ristretta base partecipativa, non potessero essere chiamati a rispondere dei debiti fiscali societari se non nei limiti di quanto formalmente percepito dal bilancio finale di liquidazione.
Questa interpretazione, tuttavia, creava di fatto una zona franca per comportamenti elusivi, permettendo di occultare attivi e procedere alla cancellazione per liberare i soci da ogni responsabilità.
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Le valutazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha accolto entrambi i motivi, cassando la sentenza impugnata.
In via preliminare, la Corte rigetta una delle tesi difensive implicite della CTR, secondo la quale non era stato accertato se l’Ente impositore avesse prima esercitato la pretesa fiscale nei confronti del liquidatore.
La Cassazione ribadisce che tale argomento è infondato: la responsabilità del liquidatore (art. 36 del D.P.R. n. 602/1973) e quella dei soci sono distinte e non in rapporto di pregiudizialità.
La prima ha natura civilistica e non tributaria, mentre la seconda ha natura successoria. Non vi è, pertanto, alcun vincolo normativo che subordini l’azione verso i soci al preventivo esperimento di quella nei confronti del liquidatore.
La ratio della decisione
La ragione della decisione risiede nella corretta interpretazione dell’art. 2495 c.c. e del suo rapporto con i debiti fiscali.
La Cassazione chiarisce che l’estinzione della società, conseguente alla cancellazione, “determina un fenomeno di tipo successorio, in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono […] ma si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono”.
Il punto centrale è che questa successione non riguarda solo ciò che risulta dal bilancio finale di liquidazione.
Richiamando precedenti (Cass. n. 9094/2017 e n. 2/2022), la Corte ribadisce che la responsabilità dei soci non è limitata a quanto eventualmente riscosso in base a tale bilancio.
L’Amministrazione finanziaria conserva sempre interesse ad agire (ex art. 100 c.p.c.) per procurarsi un titolo nei confronti dei soci, anche in assenza di un formale riparto, poiché possono esistere sopravvenienze attive o beni non contemplati nel bilancio.
L’applicazione al caso concreto
Nel caso di specie, i 21 milioni di euro di plusvalenza occulta rappresentano proprio quegli attivi non contabilizzati che, secondo la consolidata giurisprudenza in materia di società a ristretta base partecipativa, si presumono distribuiti ai soci.
La tesi della CTR, secondo cui l’Agenzia avrebbe dovuto agire con “accertamenti di carattere personale e non nella qualità di soci”, è stata definita infondata poiché ignora le conseguenze del meccanismo successorio delineato dall’art. 2495 c.c.
Il richiamo alle Sezioni Unite
La Corte ha infine richiamato la sentenza delle Sezioni Unite n. 3625 del 12 febbraio 2025, che conferma un principio di grande rilievo:
l’interesse ad agire del Fisco non è escluso dalla mancata riscossione di somme in base al bilancio finale, potendo derivare dalla “sussistenza di beni e diritti trasferiti ai soci, anche se non compresi nel bilancio”.
Conclusioni
La sentenza riafferma un principio di natura economica: la cancellazione della società dal Registro delle Imprese non può diventare uno strumento per eludere i creditori, specialmente l’Erario. La tesi secondo cui i soci rispondono solo di ciò che risulta dal bilancio finale è infondata, poiché non tiene conto della possibilità di attivi occultati e distribuiti extra-bilancio. L’estinzione della società non cancella i debiti, ma li trasferisce ai soci in qualità di successori. Sarà poi onere del Fisco provare (anche tramite presunzioni, come nel caso dei ricavi occulti in società a base ristretta) l’effettiva distribuzione di tali attivi. La Corte ha quindi cassato la decisione e rinviato alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado, la quale, in diversa composizione, dovrà procedere a un nuovo giudizio rispettando i principi esposti.











