
La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con l’ordinanza n. 24922 del 9 settembre 2025 (clicca qui per consultare il testo integrale della decisione), si è pronunciata sulla questione dell’abuso del congedo parentale. Il caso riguardava un lavoratore licenziato per giusta causa dopo aver utilizzato i giorni di congedo per motivi estranei alla cura del figlio. Per approfondimenti sul nuovo diritto del lavoro, Maggioli Editore ha organizzato il corso di formazione “Corso avanzato di diritto del lavoro – Il lavoro che cambia: gestire conflitti, contratti e trasformazioni”, a cura di Federico Torzo.
Il caso in esame
La controversa origina dal licenziamento intimato il 22 ottobre 2020 da una società nei confronti di un proprio dipendente. Il datore di lavoro contestava l’abuso dei congedi parentali, sostenendo che il lavoratore, durante il periodo dal 2 al 16 agosto 2019, aveva svolto attività lavorativa presso lo stabilimento balneare della moglie, invece di dedicarsi alla cura del figlio di tre anni.
L’elemento probatorio centrale è costituito da un rapporto investigativo che documentava la presenza del dipendente presso il lido in cinque giorni sui quarantasei complessivi di congedo, senza la compagnia dei figli e per alcune ore durante la giornata. Tale condotta configurava uno sviamento della finalità del congedo parentale, in quanto non garantiva il soddisfacimento dei bisogni affettivi dei figli né il loro pieno inserimento nella famiglia, rendendo anzi necessario il ricorso a un aiuto esterno.
Il giudice di primo grado aveva accolto le ragioni del lavoratore, ma la Corte d’Appello di Reggio Calabria aveva ribaltato la decisione, ritenendo provata la condotta abusiva e legittimando il licenziamento per giusta causa. Il lavoratore aveva, allora, presentato ricorso in Cassazione.
Il rigetto del primo motivo: limiti del sindacato di legittimità
La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il primo motivo di ricorso, con cui il lavoratore denunciava vizi di motivazione per l’omessa ammissione di prova testimoniale e l’utilizzo di mere illazioni da parte dei giudici di merito.
La Corte ha ribadito che il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova può essere censurato in cassazione solo quando:
- investa un punto decisivo della controversia
- e la prova non ammessa sia idonea a invalidare con certezza l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito (Cass. n. 16214 del 2019; Cass. n. 18072 del 2024).
Nel caso di specie, il compendio probatorio acquisito e l’articolata motivazione della sentenza impugnata rendevano inammissibile la censura.
Particolarmente significativo è il richiamo ai principi consolidati sul ragionamento presuntivo: spetta al giudice di merito individuare i fatti da porre a fondamento dell’inferenza presuntiva e valutarne la rispondenza ai requisiti normativi, con un apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, salvo l’omesso esame di un fatto decisivo nel rigoroso senso giurisprudenziale.
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Il rigetto del secondo motivo: i principi sull’abuso del congedo parentale
Il secondo motivo di ricorso, relativo al merito della questione, ha consentito alla Cassazione di consolidare l’orientamento giurisprudenziale sull’abuso del congedo parentale.
La Corte ha precisato che il congedo parentale è un diritto potestativo finalizzato alla tutela delle esigenze relazionali e affettive connesse allo sviluppo della personalità del bambino. Tuttavia, la natura potestativa del diritto non esclude la sindacabilità delle modalità del suo esercizio, poiché la titolarità di un diritto potestativo non determina discrezionalità assoluta e arbitrio.
Il principio cardine stabilito dalla Cassazione è che il diritto va esercitato per la cura diretta del bambino: qualunque attività che non si ponga in diretta relazione con tale cura costituisce abuso del diritto potestativo. L’assenza dal lavoro deve porsi in relazione diretta con l’esigenza di assistenza al figlio, per cui il congedo è riconosciuto.
L’analogia con i permessi ex Legge 104/1992
La decisione consolida l’analogia, già delineata dalla giurisprudenza precedente, tra l’abuso del congedo parentale e quello dei permessi per l’assistenza ai disabili ex Legge 104/1992. In entrambi i casi, l’utilizzo del beneficio per attività diverse da quelle istituzionalmente previste configura violazione della finalità normativa e può giustificare il licenziamento per giusta causa.
La ratio dell’analogia risiede nella considerazione che entrambi i benefici comportano un sacrificio organizzativo per il datore di lavoro, giustificabile solo in presenza di esigenze riconosciute dal legislatore come meritevoli di superiore tutela. Il venir meno del nesso causale tra assenza dal lavoro e finalità assistenziale configura uso improprio o abuso del diritto.
La valutazione in concreto dell’abuso
La Cassazione ha respinto la tesi del ricorrente secondo cui l’abuso si configurerebbe solo in presenza di attività sistematiche e continuative che occupino una parte significativa dell’intero periodo di congedo. La Corte ha precisato che la verifica dell’esercizio abusivo appartiene alla competenza del giudice di merito e deve essere condotta caso per caso, sulla base dell’accertamento in fatto della condotta tenuta dal lavoratore.
Nel caso specifico, la presenza presso lo stabilimento balneare per alcune ore in cinque giorni, senza la compagnia dei figli, è stata ritenuta sufficiente a configurare l’abuso, atteso lo sviamento della finalità assistenziale del congedo.
Profili di responsabilità e conseguenze
La decisione della Cassazione, nel rigettare il ricorso del lavoratore, conferma che l’abuso del congedo parentale integra una condotta contraria alla buona fede nei confronti del datore di lavoro, che si vede privato ingiustamente della prestazione lavorativa e subisce una lesione dell’affidamento riposto nel dipendente.
Inoltre, rileva l’indebita percezione dell’indennità e lo sviamento dell’intervento assistenziale nei confronti dell’ente previdenziale erogatore del trattamento economico, configurandosi così una duplice lesione degli interessi tutelati dall’ordinamento.
Abuso del congedo parentale e licenziamento per giusta causa: la decisione in sintesi
Ecco infine una pratica e breve checklist per orientarsi nell’applicazione dei principi affermati dalla Sezione Lavoro della Cassazione con l’ordinanza n. 24922/2025.
Cosa si intende per abuso del congedo parentale?
Si configura abuso quando il congedo viene utilizzato per attività diverse dalla cura diretta del bambino, violando così la finalità per cui il diritto è riconosciuto dall’ordinamento.
È necessario che l’abuso sia sistematico per configurare giusta causa di licenziamento?
No, la Cassazione ha chiarito che non è necessaria sistematicità o continuità. È sufficiente che l’attività svolta non sia direttamente correlata alla cura del figlio, anche se limitata a pochi episodi.
Quali sono le conseguenze dell’abuso accertato?
L’abuso può giustificare il licenziamento per giusta causa, comporta violazione della buona fede verso il datore di lavoro e configura indebita percezione dell’indennità previdenziale.
Il datore di lavoro può effettuare controlli durante il congedo parentale?
Sì, il datore di lavoro può utilizzare strumenti di controllo consentiti dall’ordinamento, inclusi rapporti investigativi, per verificare il corretto utilizzo del congedo.
L’analogia con i permessi Legge 104 ha implicazioni pratiche?
Sì, i principi stabiliti per i permessi 104 si applicano al congedo parentale: in entrambi i casi l’utilizzo per finalità diverse da quelle previste configura abuso del diritto.
È possibile svolgere qualsiasi attività durante il congedo parentale?
No, sono consentite solo le attività direttamente correlate alla cura e all’assistenza del bambino. Qualsiasi altra attività, anche sporadica, può configurare abuso.