Nel presente documento si ritiene come rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8 comma 2 del D.lgs. 504/1992, sollevata dalla Cassazione Sezioni Unite Civili con le ordinanze nn. 26774 e 26776 del 15.10.2024, nella parte in cui la norma stabilisce che, ai fini della detrazione fiscale ivi prevista, “abitazione principale” è solo quella nella quale dimora non soltanto il contribuente ma anche i suoi familiari. La non manifesta infondatezza si basa sulla norma contenuta nell’art. 6 comma 3 bis dello stesso D.lgs., sulle disposizioni previste in materia di detrazioni, deduzioni ed esenzioni dal Testo Unico Imposte sui Redditi (D.P.R. n. 917/1986) sulla disciplina dettata in materia di TARI (Legge 147 del 27.12.2013) e sulla norma che stabilisce, ai fini dell’attività ispettiva dell’Amministrazione Finanziaria, le deroghe al segreto bancario (art. 35 D.P.R. 600/1973).
La questione
L’art. 8 comma 2 del D.lgs. 504 del 30.12.1992 (di seguito “D.lgs.”) – nel prevedere la detrazione, dall’imposta dovuta per l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo, dell’importo di € 103,29 – stabilisce che “per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari dimorano abitualmente”.
La Cassazione SSUU civili, con le ordinanze n. 26774 e 26776 del 15.10.2024, hanno dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale di tale norma nella parte in cui questa non prevede che “per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, dimora abitualmente”. In sostanza, secondo la Cassazione, al fine di poter fruire della detrazione, è sufficiente che nell’abitazione principale dimori il solo contribuente, non essendo necessario che vi dimorino anche i familiari. Si tratta di vedere se tale questione possa considerarsi effettivamente fondata.
Detrazione al coniuge non assegnatario della casa coniugale (Art. 6 comma 3-bis D.Lgs. 504/1992)
L’art. 6 comma 3 bis del D.lgs. prevede così dispone: “il soggetto passivo che, a seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, non risulta assegnatario della casa coniugale, determina l’imposta dovuta applicando l’aliquota deliberata dal comune per l’abitazione principale e le detrazioni di cui all’articolo 8, commi 2 e 2-bis, calcolate in proporzione alla quota posseduta”. Se il coniuge, non essendo stato designato quale assegnatario della casa coniugale, non dimora più qui, ad egli spetta comunque la detrazione di cui all’art. 8 comma 2, anche se questa dovrà essere rapportata alla quota da lui posseduta su tale casa. Quindi il fatto che nell’abitazione principale non dimori più il coniuge, non impedisce a quest’ultimo di fruire della detrazione, anche se in misura più limitata. Allo stesso modo, allora, il fatto che nell’abitazione principale dimori il solo contribuente (senza familiari), non dovrebbe essere di ostacolo a che quest’ultimo possa fruire della detrazione stessa. Se l’assenza di dimora del coniuge, conseguente alla cessazione del matrimonio ed alla mancata assegnazione della casa, non gli impedisce la detrazione, la presenza esclusiva (ossia senza familiari) del contribuente nel luogo di dimora non dovrebbe impedire a quest’ultimo di godere della detrazione medesima.
Il discorso sarebbe stato diverso qualora la norma avesse stabilito che il coniuge, nei suddetti casi, non ha diritto ad alcuna detrazione: in tal caso, sarebbe valso il principio per cui la presenza del coniuge, non separato, nel luogo di dimora, è essenziale affinchè il contribuente possa avere la detrazione, e ciò proprio per incentivare e valorizzare i legami familiari. Ma se anche il coniuge separato, e non assegnatario e perciò non più dimorante, mantiene il diritto alla detrazione, allora non sembra esservi ragione per la quale il contribuente non possa fruire di quest’ultima se nell’abitazione principale non dimora anche il coniuge.
Imposta di registro: aliquota del 2% per atti a registrazione fissa
Il D.P.R. 131/1986 (Testo Unico Imposta di Registro), nel disciplinare gli atti soggetti a registrazione in termine fisso (Tariffa Parte 1 Art. 1), prevedendo il pagamento dell’imposta in base all’aliquota agevolata del 2% (art. 1 nota II bis), stabilisce quanto segue: affinchè l’acquirente possa fruire del pagamento dell’aliquota del 2%, per gli atti traslativi della proprietà e/o per gli atti traslativi o costituivi della nuda proprietà e di altri diritti reali, egli deve dichiarare che lui “oppure” il coniuge non siano titolari di altra casa di abitazione. Quindi, per poter fruire del beneficio (aliquota ridotta), è sufficiente che il coniuge non sia proprietario, né titolare di altro diritto reale, su un altro immobile adibito ad abitazione. In tal caso, l’acquirente può ottenere il beneficio “grazie” alla situazione in cui si trova il coniuge (che è un “familiare”), mentre, nel caso di cui all’art. 8 comma 2 D.lgs., la mancanza di dimora da parte del familiare preclude al contribuente di poter godere della detrazione ivi prevista.
Deduzioni, detrazioni ed esenzioni nel D.P.R. 917/86
L’art. 10 del Testo Unico Imposte sui Redditi (D.P.R. n. 917/1986, di seguito “D.P.R.”), nel disciplinare gli “oneri deducibili”, al comma 3 bis prevede che per abitazione principale si intende quella nella quale la persona fisica, che la possiede a titolo di proprieta’ o altro diritto reale, “o” i suoi familiari dimorano abitualmente. In questo caso, a differenza di quello previsto dall’art. 8 comma 2 D.lgs., affinchè il contribuente possa fruire del beneficio fiscale, è necessario che lui “oppure” i suoi familiari dimorino abitualmente nell’abitazione principale; non è richiesto che debbano dimorarvi lui “ed” i suoi familiari, ossia non è previsto, ai fini della deducibilità, il requisito della “dimora congiunta”.
Tale alternatività è prevista anche dalle seguenti norme del D.P.R.: art. 15 (“Detrazioni per oneri”); art. 16 comma 1 quinquies (“Detrazioni per canoni di locazione”); art. 41 (aumento per 1/3 del reddito imponibile per le unità immobiliari le quali siano utilizzate come seconde case dal possessore “o” dai suoi familiari); art. 67 (non costituiscono “redditi diversi” le plusvalenze realizzate mediante la cessione onerosa di immobili che, per la maggior parte del tempo intercorso tra l’acquisto e la cessione, siano stati adibiti ad abitazione principale del cedente “o” dei suoi familiari).
Il D.P.R., pertanto, in materia di deducibilità, detraibilità ed esenzione fiscale, non prevede, affinchè il contribuente possa godere di tali benefici, che nell’abitazione principale dimori lui e, contestualmente, i propri familiari, essendo a tal fine sufficiente che vi dimori egli soltanto.
Esenzioni T.A.R.I. e deroghe al segreto bancario
Le disposizioni contenute nell’art. 1 (commi 639 – 736) della Legge 147 del 27.12.2013, relative alla TARI, sono state espressamente fatte salve dalla Legge n. 160 del 27.12.2019 (la quale ha abolito, a decorrere dall’anno 2020, la TASI).
Ebbene, il comma 659 (lett. A) prevede che il Comune possa prevedere riduzioni tariffarie ed esenzioni nel caso di “abitazioni con un unico occupante”, il che automaticamente sembrerebbe escludere la necessità che nell’abitazione dimorino anche i familiari dell’occupante stesso.
In materia di accertamento delle imposte sui redditi, l’art. 35 del D.P.R. 600/1973 – nel disciplinare le “deroghe al segreto bancario”, attribuendo agli Uffici preposti il potere di accedere presso gli istituti di credito – prevede che la richiesta di accesso possa essere estesa anche ai conti intestati ai figli minori “conviventi”. Quindi, ove il figlio non conviva con il contribuente, l’Ufficio non potrà accedere ai conti del figlio stesso. Al riguardo si rileva che l’assenza del requisito della convivenza dei familiari, se è tale da impedire l’attività ispettiva dell’Amministrazione Finanziaria, dovrà, a maggior ragione, essere tale anche da permettere al contribuente la fruibilità del beneficio fiscale di cui all’art. 8 comma 2 D.lgs. .
Di conseguenza, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8 sopra citato, sollevata con le ordinanze in commento, appare fondata.
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