Definitiva affermazione del ruolo del contribuente: la l. n. 212/2000

Il presente elaborato si prefigge l’obiettivo di esaminare minuziosamente la legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente) ed in particolare la disciplina inerente i limiti ed i princìpi regolatori concernenti la legislazione tributaria, ponendo l’accento sull’introduzione dell’art. 6-bis, cristallizzante il principio del contraddittorio endoprocedimentale nel novero dei princìpi disciplinati dal summenzionato Statuto.
Nella parte conclusiva del suddetto elaborato, ci si soffermerà sul procedimento di accertamento dell’abuso del diritto e la relativa inscindibilità rispetto al riconoscimento del diritto al contraddittorio endoprocedimentale, per poi concludere con una particolare e doverosa menzione ai diritti ed alle garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali.

I limiti ed i princìpi regolatori concernenti la legislazione tributaria

Lo Statuto dei diritti del contribuente, promulgato con la legge del 27 luglio 2000, rappresenta un codice di comportamento per l’Amministrazione Finanziaria.

Questa legge generale mira a rafforzare i princìpi di coerenza e certezza giuridica nel sistema tributario, regolando la produzione legislativa in materia fiscale e limitando la discrezionalità dell’Amministrazione. Allo stesso tempo, offre al contribuente orientamento e tutela durante il processo d’imposizione fiscale[1].

A differenza degli Statuti simili esistenti in altri paesi OCSE, che si concentrano principalmente sul garantire i diritti dei contribuenti nel processo di imposizione fiscale, lo Statuto italiano disciplina anche la produzione delle leggi fiscali: l’obiettivo è garantire una normativa fiscale chiara e stabile nel tempo, facilitando l’interpretazione per entrambe le parti coinvolte nel rapporto tributario.

Questa necessità deriva dal grave danno causato dall’eccessiva produzione legislativa nel settore tributario negli ultimi decenni, connotati da un eccessivo ricorso ai decreti d’urgenza e dalla continua modifica delle norme prim’ancòra che le stesse entrino in vigore, che hanno reso il sistema tributario meno trasparente e prevedibile[2].

La normativa fiscale è diventata così sempre più intricata e disordinata, creando problemi interpretativi che compromettono il corretto rispetto della legge. Pertanto, è emersa l’urgente richiesta, evidenziata da diverse fonti, di ripristinare la stabilità del sistema attraverso una riforma dell’attuale complesso normativo nel campo fiscale[3].

Tali esigenze sono state poste alla base della nascita dello Statuto in materia dei diritti del contribuente, approvato con legge n. 212 del 27 luglio 2000. La legge n. 212 presenta diversi pregi significativi, tra cui la definizione chiara dei princìpi fondamentali che regolano il rapporto tra Fisco e contribuente. In un contesto in cui nel sistema fiscale vige il principio dell’autoliquidazione delle imposte, la legge si concentra sull’assicurare la certezza del diritto, l’obbligo di informazione e l’assistenza da parte dell’Amministrazione Finanziaria, nonché il diritto del contribuente a comprendere appieno le conseguenze fiscali delle proprie azioni. Inoltre, garantisce un procedimento accertativo e contenzioso equo e regolare[4].

Nonostante l’importanza e l’efficacia dei suoi contenuti, il principale limite dello Statuto del contribuente consiste nel modo in cui è stato promulgato: invero, essendo stato approvato come legge ordinaria, lo Statuto si trova in una posizione subordinata rispetto alla Costituzione ed ha lo stesso rango di altre leggi ed atti aventi forza di legge.

Il nostro sistema ordinamentale non ha riconosciuto, infatti, fra le fonti di produzione la legge c.d. organica, cioè un atto normativo emanato con una procedura rafforzata e contenente princìpi generali che sia resistente all’abrogazione da parte di altre leggi; ne discende che le norme dello Statuto vadano interpretate, ugualmente ad ogni altra disposizione di legge, in base alle disposizioni preliminari del codice civile[5].

Le auto-qualificazioni espresse contenute nell’art. 1, comma 1, della legge n. 212 – con le quali si enuncia espressamente la funzione dello Statuto, attuativa degli artt. 3, 23, 53 e 97 della Costituzione e si definiscono le norme ivi contenute come princìpi generali dell’ordinamento tributario – sembrano avere un peso limitato[6].

Le suddette clausole non sono sufficienti: sebbene, infatti, indichino l’intenzione del legislatore di garantire i diritti costituzionali nel diritto tributario, la giurisprudenza costituzionale stabilisce che l’autoidentificazione non è decisiva; ed infatti, la qualifica dello Statuto come legge di attuazione costituzionale potrebbe conseguire esclusivamente all’effettiva applicazione delle regole di tutela enunciate nello Statuto, quali parametri integrativi dei precetti costituzionali, richiamati nei giudizi di legittimità delle leggi tributarie sottoposte al vaglio della Corte Costituzionale[7].

Ad ogni modo, l’art. 1 dello Statuto contiene due clausole cc.dd. di salvaguardia ovvero di auto-rafforzamento: da un lato, esso vieta deroghe e modifiche allo Statuto se non espressamente sancite in una diversa norma; dall’altro, esclude che le modifiche allo Statuto possano essere apportate mediante leggi speciali.

Lo Statuto del contribuente si suddivide in due gruppi principali di norme. Il primo gruppo si concentra sui limiti e sui princìpi che regolano l’attività legislativa nel campo tributario, mentre il secondo affronta gli aspetti chiave della relazione tra Fisco e contribuente durante l’attività impositiva. Le norme riguardanti la produzione legislativa sono rivolte al legislatore, mentre quelle che riguardano la motivazione degli atti, gli interpelli e la tutela dell’affidamento sono rivolte sia al contribuente che all’Amministrazione Finanziaria[8].

Per quanto concerne il primo gruppo di norme, volte a definire limiti e princìpi regolatori della legislazione tributaria, viene in rilievo anzitutto l’art. 1, comma 2, che pone un limite alla legislazione di interpretazione autentica stabilendo che «l’adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta solo in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica».

La necessità che la norma sia espressamente rubricata come d’interpretazione autentica elide l’opportunità di vagliare la natura sostanzialmente innovativa ovvero interpretativa della disposizione; oltretutto, la dottrina più attenta rileva una contraddizione in termini della disposizione che, da una parte, consente l’adozione di norme interpretative in casi eccezionali ed, al contempo, esclude la possibilità di emanarle mediante decreto-legge, strumento legislativo deputato proprio alla normazione in casi di urgenza ed eccezionalità[9].

Le disposizioni dell’art. 2 dello Statuto del contribuente, riguardanti la chiarezza e la trasparenza delle norme fiscali, rispondono, invece, ad una delle principali necessità che hanno condotto alla redazione ed all’approvazione dello Statuto stesso, e, cioè, alla proliferazione incontrollata ed alla scarsa qualità nella stesura delle leggi fiscali, che, unite all’eccessiva quantità di norme, hanno accelerato la necessità di razionalizzare la legislazione[10].

Gli obblighi stabiliti nell’art. 2 dello Statuto del contribuente riguardano principalmente la chiarezza e la coerenza delle disposizioni legislative in materia tributaria. Questi doveri includono la necessità di specificare chiaramente nell’intestazione e nella rubrica dell’atto legislativo l’oggetto trattato, di fornire un riassunto del contenuto delle disposizioni richiamate, di riportare il testo contenuto nelle disposizioni modificative di norme previgenti, nonché l’obbligo di omogeneità e cioè il divieto di inclusione di norme fiscali in leggi non relative alla materia tributaria[11].

Per quanto riguarda l’efficacia nel tempo delle norme fiscali, il primo comma dell’art. 3 stabilisce che tali norme non possano retroagire e debbano, dunque, essere applicate soltanto per il futuro. Tuttavia, esiste un’eccezione a questo principio per le norme d’interpretazione autentica, alle quali lo Statuto conferisce, esplicitamente, efficacia retroattiva.

È da notare che la disposizione menzionata non specifica se il divieto di retroattività si applichi solo in casi “sfavorevoli” al contribuente ovvero includa anche situazioni in cui un’interpretazione retroattiva potrebbe essere vantaggiosa per il privato. La dottrina, nondimeno, evidenzia che ci sono molti casi in cui la normativa retroattiva è stata introdotta a vantaggio del contribuente, anche senza esplicite deroghe al primo comma dell’art. 3, com’è avvenuto rispetto alle modifiche attenuative dell’onere fiscale introdotte dalla legge n. 342 del 2000, c.d. collegato fiscale, nonché dalla legge finanziaria del 2001.

Il secondo comma dell’art. 3 stabilisce che nessun obbligo fiscale introdotto per la prima volta tramite nuove disposizioni può essere imposto al contribuente prima che siano trascorsi sessanta giorni dalla sua istituzione. Il terzo comma dell’art. 3, per garantire la certezza nel rapporto tra contribuente ed Autorità Finanziaria durante la fase di applicazione e riscossione delle imposte, stabilisce che i termini di prescrizione e decadenza per gli accertamenti fiscali non possono essere prorogati[12].

L’art. 4, in conclusione, vieta l’istituzione di nuovi tributi ovvero l’applicazione di tributi esistenti ad altre categorie tramite decreto-legge. Questa disposizione è stata aggiunta durante l’approvazione per affrontare l’abuso del ricorso al decreto-legge nel campo tributario, e, dunque, limita la portata dell’art. 77 della Costituzione che, al contrario, non prevede limiti quanto alle materie oggetto di tale forma di normazione.

L a dottrina costituzionale ha discusso l’efficacia e la legittimità di una norma di livello ordinario che limita una norma costituzionale. Tuttavia, parte degli autori hanno notato che la legge n. 400 del 1988 aveva già introdotto disposizioni simili nell’ordinamento, con l’unico scopo di limitare un abuso della funzione legislativa delegata[13].

Lo Statuto dei diritti del contribuente nell’ottica del c.d. “giusto procedimento”

Il principio del “giusto procedimento” è un principio indefettibile ed imprescindibile nell’àmbito del Diritto Amministrativo. Esso implica che l’Amministrazione Finanziaria debba seguire una serie di regole e princìpi durante l’attuazione delle proprie funzioni, garantendo trasparenza, imparzialità, equità e rispetto dei diritti dei contribuenti[14].

Lo Statuto dei diritti del contribuente si inserisce perfettamente in questa prospettiva, poiché mira a proteggere e promuovere i diritti dei contribuenti durante l’intero processo di applicazione delle norme fiscali, ed infatti, fornisce una serie di garanzie e princìpi che devono essere rispettati dall’Amministrazione Finanziaria nel trattare con i contribuenti.

Ad esempio, lo Statuto stabilisce il diritto del contribuente di essere informato ed assistito dall’Amministrazione Finanziaria durante le procedure fiscali, il diritto di conoscere le proprie posizioni fiscali, il diritto di essere trattato in modo equo ed imparziale durante i contenziosi fiscali, e così via[15].

Inoltre, lo Statuto promuove la trasparenza e la chiarezza delle norme fiscali, in modo che i contribuenti possano comprendere appieno i loro obblighi fiscali ed i relativi procedimenti. Questo contribuisce a ridurre l’incertezza ed a migliorare la conformità fiscale[16].

Come si è detto, nell’àmbito del giusto procedimento un ruolo fondamentale è rivestito dal contraddittorio endoprocedimentale, che da un lato attua il diritto di difesa dell’interessato, e consente allo stesso di manifestare preventivamente le proprie ragioni rispetto al provvedimento che lo riguarda e, dall’altro, consente all’Amministrazione di attuare il principio di imparzialità e di giungere ad una determinazione obiettiva della fattispecie, assicurando così il perseguimento dell’interesse pubblico[17].

Il ruolo del contraddittorio nel procedimento è stato evidenziato finanche nella sopracitata sentenza Sopropé della Corte di giustizia, la quale ha sostenuto che il contraddittorio endoprocedimentale è un principio proprio del diritto dell’UE, di carattere obbligatorio, la cui violazione determina l’illegittimità della pretesa tributaria[18].

Nonostante la rilevanza del contraddittorio endoprocedimentale nell’ottica del giusto procedimento, si rileva come fino alla modifica normativa del 2023 non esisteva nello Statuto del contribuente un obbligo generalizzato di contraddittorio tra le parti[19].

Il passo più significativo in materia di contraddittorio all’interno dello Statuto si trovava, prima della riforma, esclusivamente nell’art. 12, comma 7, il quale concede al contribuente il diritto di presentare osservazioni o istanze entro sessanta giorni dal rilascio del verbale e vieta l’emissione dell’avviso di accertamento prima della scadenza di questo termine.

Questo termine svolge una duplice funzione: in primis, permette al contribuente di esprimersi dopo che l’Ufficio ha concluso la fase istruttoria, in cui il primo non viene coinvolto, ed, in secundis, impone all’Ufficio di riesaminare i fatti e le osservazioni del contribuente per evitare che la procedura di accertamento si traduca in una mera riproposizione delle argomentazioni presentate durante la fase ispettiva[20].

Il legislatore non ha specificato le conseguenze di una eventuale violazione del divieto da parte dell’Autorità tributaria, lasciando all’interprete il compito difficile di determinare se la violazione della norma debba comportare solo un’irregolarità mera dell’atto impositivo o se costituisca un vizio così grave da condizionarne la legittimità[21].

La dottrina, quasi all’unanimità, interpreta il comma 7 dell’art. 12 come un precetto cogente per l’Amministrazione Finanziaria, la cui violazione renderebbe l’atto illegittimo, con la possibilità di annullamento da parte del Giudice tributario[22].

Si ritiene che prima dello scadere dei sessanta giorni l’Amministrazione sia priva del potere di accertamento, essendo tale potere temporaneamente sospeso per consentire al contribuente di esercitare il suo diritto di difesa[23]. Pertanto, l’atto emesso prima della scadenza del termine viene considerato emanato in carenza di potere e, quindi, annullabile ovvero addirittura nullo, indipendentemente dalla circostanza che tale nullità sia espressamente prevista o meno[24].

In realtà, in base al principio del numerus clausus delle ipotesi di nullità, intrinseco allo Statuto dei diritti del contribuente, sembra preferibile l’ipotesi dell’annullabilità per violazione di legge, con la specifica conseguenza che spetterà all’interprete valutare l’incidenza di tale omissione caso per caso e l’effettiva compressione del diritto di difesa del contribuente[25].

Anche i lavori parlamentari preparatori della legge n. 212 del 2000 sembrano indirizzare a questa conclusione, sicché non è stato approvato l’emendamento vòlto ad introdurre le parole “a pena di nullità” dopo la parola “emanato”.

Inoltre, a supporto di questo argomento, è intervenuta la legge 11 febbraio 2005, n. 15, la quale ha modificato la legge n. 241 del 1990 sul procedimento amministrativo; l’art. 21-septies, comma 1, stabilisce che è nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge.

Applicando questa norma al procedimento tributario, si osserva che non ricorrerebbe nessuno dei presupposti menzionati, pertanto, sembra doversi escludere l’ipotesi di nullità dell’atto adottato in violazione dell’art. 12, comma 7, dello Statuto.

La complessa disciplina inerente al rapporto tra Amministrazione Finanziaria e contribuente

La disciplina dei rapporti fra Amministrazione Finanziaria e contribuente è contenuta nel secondo gruppo di norme dello Statuto, costituito dagli artt. da 5 a 12.

Le norme anzidette sono ispirate all’esigenza di assicurare chiarezza e trasparenza nei rapporti fra contribuenti ed Autorità finanziaria, inoltre, ivi sono statuiti una serie di princìpi che orientano l’attività dell’Amministrazione, fra cui il principio di chiarezza e trasparenza dei rapporti, cui si riconnette l’obbligo di motivazione, il principio dell’affidamento, il diritto a garantire l’integrità patrimoniale del contribuente, nonché, soprattutto a séguito dell’introduzione dell’art. 6-bis, il principio del contraddittorio[26].

A tali princìpi si è aggiunto, a séguito della riforma operata con D.Lgs. n. 219 del 2023, il principio di proporzionalità dell’azione dell’Amministrazione Finanziaria.

In primo luogo, il principio di chiarezza e trasparenza dei rapporti fra Fisco e contribuente trova una concreta applicazione attraverso le regole dettate dall’art. 5 dello Statuto, che si concentrano sull’assicurare un’adeguata informazione fiscale al contribuente.

L’art. 5 della l. n. 212 del 2000 richiede all’Amministrazione di organizzarsi in modo da consentire una completa conoscenza delle leggi e delle disposizioni amministrative in materia tributaria. In particolare, si sottolinea l’importanza di fornire testi coordinati delle normative, delle risoluzioni e delle circolari in materia tributaria ai contribuenti, rendendoli disponibili presso gli uffici impositori.

Oltretutto, si richiede l’adozione di iniziative di informazione elettronica per consentire agli utenti di ricevere aggiornamenti in tempo reale tramite il sistema informatico, con l’accesso gratuito a tali documenti.

Questa disposizione si inserisce nel quadro della trasparenza amministrativa già garantita dalla legge n. 241 del 1990, che obbliga l’Amministrazione Finanziaria a rendere trasparenti i propri atti ed ad informare i contribuenti “tempestivamente e con mezzi idonei” su tutte le circolari e risoluzioni relative all’esercizio del potere impositivo[27].

Sempre in un’ottica di trasparenza, nonché per favorire la difesa dei contribuenti, in adesione ai princìpi dettati dalla legge sul procedimento amministrativo, l’art. 7 dello Statuto impone il rispetto del principio di motivazione degli atti dell’Amministrazione Finanziaria, stabilendo al primo comma che i provvedimenti debbano essere motivati, a pena di annullabilità, indicando specificamente i presupposti, i mezzi di prova e le ragioni giuridiche su cui si fonda la decisione.

Nel campo della dottrina tributaria esistono posizioni divergenti riguardo all’onere della prova circa la validità dell’attività svolta dall’Amministrazione Finanziaria nella fase di accertamento fiscale. Alcuni sostengono che l’Amministrazione dovrebbe essere tenuta a fornire prova della validità delle proprie azioni, conformemente alla normativa ed ai princìpi costituzionali, senza però che tale prova assuma gli stessi requisiti richiesti in un processo giudiziario[28].

Al contrario, altri ritengono che l’atto di accertamento debba contenere non solo la motivazione, ma anche la prova delle ragioni che lo sostengono. Quest’ultima prospettiva trova sostegno nel secondo comma dell’art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, relativo all’imposta sul valore aggiunto, il quale richiede esplicitamente l’indicazione degli elementi probatori sotto pena di nullità dell’avviso di rettifica[29].

Con l’entrata in vigore dello Statuto, sembra che i «presupposti di fatto e le ragioni giuridiche» previsti dall’art. 7 non possano essere interpretati se non come elementi di prova a sostegno dell’atto emesso[30].

L’ultimo periodo del primo comma dell’art. 7 dello Statuto sancisce un altro principio fondamentale e, cioè, l’obbligo dell’Amministrazione di allegare gli atti espressamente richiamati nella motivazione: la portata del principio è stata chiarita attraverso l’emanazione del D.Lgs. n. 32 del 2001, che ha interpretato la norma in modo restrittivo. Con il decreto si è stabilito che l’obbligo di allegare gli atti richiamati sussiste solo se questi non sono conosciuti o già stati ricevuti dal contribuente e che non è necessario allegare l’atto se il contenuto essenziale è già riprodotto nell’atto emesso[31].

L’obbligo di motivazione è implementato dal secondo comma dell’art. 7, che introduce l’obbligo di fornire una serie di indicazioni che gli atti devono contenere, relativi, exempli gratia, all’ufficio presso il quale è possibile reperire informazioni circa l’atto notificato o l’organo cui destinare un atto di riesame; allo stesso modo, il comma terzo prevede che sulla cartella di pagamento debba essere riportato il riferimento all’eventuale precedente atto di accertamento.

Infine, l’ultimo comma dell’art. 7 prevede che la natura tributaria dell’atto non preclude il ricorso agli organi di giustizia amministrativa quando ne ricorrano i presupposti ed è stato introdotto al fine di proteggere il contribuente dalla tendenza riscontrata negli organi di giustizia amministrativa a declinare la propria giurisdizione nei ricorsi proposti contro atti non impugnabili davanti le Commissioni tributarie.

Un altro dei princìpi cardine inerenti alla disciplina dei rapporti fra Amministrazione Finanziaria e contribuente è senz’altro il principio dell’affidamento e della buona fede nei rapporti fra contribuente e Fisco, sancito dall’art. 10 della l. n. 212 del 2000.

Il principio comporta, in primo luogo, che non saranno applicate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente nel caso in cui si conformi alle indicazioni contenute negli atti dell’Amministrazione Finanziaria, anche se tali indicazioni vengono da essa in séguito modificate ovvero se il suo comportamento è determinato da ritardi, omissioni oppure errori dell’Amministrazione stessa.

Inoltre, le sanzioni non saranno applicate quando la violazione dipende da condizioni oggettive di incertezza riguardo alla portata ed all’applicazione della normativa fiscale, o quando si tratta di una violazione meramente formale senza alcun debito fiscale.

Come rilevato da autorevole dottrina, le condizioni per l’applicazione di questo principio derivano, da una parte, dall’apparente legittimità e coerenza dell’operato dell’Amministrazione Finanziaria, e dall’altra, dalla buona fede del contribuente, che si sostanzia nell’assenza di violazioni del dovere di correttezza gravante sul medesimo[32].

 L’art. 6 dello Statuto: i diritti del contribuente in materia di conoscenza degli atti e semplificazione

La ratio di favorire la trasparenza e la partecipazione del contribuente informa l’art. 6 dello Statuto, il quale, al primo comma, prevede che al contribuente dev’essere assicurata la conoscenza effettiva degli atti a lui destinati, mediante la comunicazione degli stessi nel luogo del suo effettivo domicilio, da intendersi, ai sensi dell’art. 43 del codice civile, quale “luogo in cui una persona stabilisce la sede principale dei suoi affari ed interessi”.

Si persegue così l’obiettivo di promuovere una relazione più moderna e democratica tra l’Amministrazione Finanziaria ed i contribuenti, in cui si cerca di evitare che vi siano conseguenze finanziarie negative a carico di questi ultimi, derivanti da azioni compiute in buona fede ma non conformi alla legge[33].

Il secondo comma dell’art. 6 impone, invece, all’Amministrazione l’obbligo di informare il contribuente di qualsiasi fatto o circostanza che, secondo le sue conoscenze, potrebbe impedire il riconoscimento di un credito ovvero comportare l’applicazione di una sanzione[34].

Questa disposizione mira a garantire che il contribuente possa adempiere agli obblighi fiscali nel modo meno oneroso possibile, sia rispetto al numero di adempimenti a suo carico, sia rispetto all’onere economico da sostenere, permettendogli al contempo di prevenire conseguenze negative sul proprio patrimonio[35].

Lo stesso obiettivo di semplificazione è perseguìto anche dal terzo comma, il quale impone all’Amministrazione di promuovere la divulgazione tempestiva dei modelli di dichiarazione e delle relative istruzioni, in modo che i contribuenti possano compilare le loro dichiarazioni in tempo utile[36].

È inoltre specificato che tali documenti devono essere comprensibili anche per i contribuenti privi di competenze tecniche, al fine di consentire a tutti di adempiere ai propri obblighi fiscali.

Il quarto comma dell’art. 6 sancisce che non possono essere richiesti al contribuente documenti ed informazioni già in possesso dell’Amministrazione Finanziaria ovvero di altre Amministrazioni che il contribuente indica ed è vòlto a ridurre gli oneri burocratici a carico di quest’ultimo, rispetto all’attività conoscitiva che l’Amministrazione svolge durante l’istruttoria.

Il quinto comma dell’art. 6 sancisce che le iscrizioni a ruolo inerenti alla liquidazione di tributi, laddove vi siano incertezze su alcuni aspetti relativi alla dichiarazione del contribuente, debbano essere precedute dall’invito a fornire chiarimenti; la mancanza dell’invito determina la nullità del provvedimento emesso.

Da ultimo, deve rilevarsi come, con la modifica apportata dall’art. 6-bis, comma 1, del d.l. 21 giugno 2022, n. 73, convertito con modificazioni dalla l. 4 agosto 2022, n. 122, è stato aggiunto all’art. 6 un ulteriore comma, il 6-bis, vòlto al rafforzamento della semplificazione ed a favorire la partecipazione dell’interessato.

La norma prevede che nell’esercizio di attività di controllo nei confronti del contribuente, delle quali quest’ultimo sia stato informato, l’ente fiscale comunica al contribuente, entro sessanta giorni dalla fine del controllo, l’eventuale esito sfavorevole di tale procedura. Le modalità di comunicazione sono semplificate e sono stabilite dall’Amministrazione Finanziaria, con proprio provvedimento.

Al fine di snellire le comunicazioni e favorire la semplificazione nel rapporto fra Autorità e privati è ammesso l’utilizzo di messaggistica di testo indirizzata all’utenza telefonica mobile del destinatario, della posta elettronica, anche non certificata ovvero dell’applicazione “IO”.

 L’introduzione dell’art. 6-bis: la cristallizzazione di un obbligo generalizzato d’instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale

La riforma dello Statuto operata con il D.Lgs. n. 219 del 2023 ha allineato la protezione del contribuente agli standard di tutela internazionali e dell’Unione europea, ed in particolare, all’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, sancendo il principio generale del contraddittorio endoprocedimentale[37].

Per la prima volta il legislatore ha espresso in materia tributaria il principio secondo il quale il soggetto amministrato ha diritto ad essere ascoltato prima dell’emanazione di un provvedimento che possa avere un impatto negativo sulla sua sfera giuridica[38].

Il comma 1 dell’art. 6-bis dello Statuto, nella formulazione odierna, dispone che «salvo quanto previsto dal comma 2, tutti gli atti autonomamente impugnabili dinanzi agli organi della giurisdizione tributaria sono preceduti, a pena di annullabilità, da un contraddittorio informato ed effettivo ai sensi del presente articolo».

L’àmbito applicativo della norma, generalmente riferito a tutti gli atti impugnabili dinanzi alle Corti di giustizia tributaria, è delimitato dal comma 2 dell’art. 6-bis, il quale individua gli atti esclusi, identificati con «gli atti automatizzati, sostanzialmente automatizzati, di pronta liquidazione e di controllo formale delle dichiarazioni individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, nonché per i casi motivati di fondato pericolo per la riscossione».

Come rilevato dai primi commentatori della riforma, il principio non richiede un obbligo generico di informazione preventiva su ogni atto sfavorevole al contribuente. Deve, infatti, essere bilanciato con le esigenze di efficienza amministrativa, garantendo che il coinvolgimento sia costruttivo e possa influenzare l’esito del procedimento stesso[39].

La ratio di tale delimitazione emerge anche dalle esclusioni tipizzate dalla legge: in presenza di un atto automatizzato ovvero sostanzialmente automatizzato, è escluso il contraddittorio preventivo poiché di solito non c’è materia su cui discutere[40].

Attraverso il contraddittorio preventivo il contribuente può esporre all’ente elementi utili ai fini della decisione conclusiva, pertanto, il comma 3 impone all’Autorità finanziaria di inviare al privato lo schema dell’atto e di formulare anticipatamente l’ipotesi della maggior imposta accertabile.

Il contribuente, nel termine assegnatogli con la comunicazione dell’Autorità finanziaria, non inferiore a sessanta giorni, può presentare controdeduzioni finalizzate ad assicurare la corretta pretesa tributaria[41].

Se la scadenza di tale termine è successiva a quella del termine di decadenza per l’adozione dell’atto conclusivo ovvero se fra la scadenza del termine assegnato per l’esercizio del contraddittorio ed il predetto termine di decadenza decorrono meno di 120 giorni, tale ultimo termine è posticipato al centoventesimo giorno successivo alla data di scadenza del termine di esercizio del contraddittorio.

Il legislatore si è occupato di stabilire espressamente la sanzione prevista per il caso della mancata attivazione del contraddittorio effettivo ed informato, individuandola nella annullabilità, e superando così le diatribe dottrinali e giurisprudenziali in ordine alla sorte dell’atto adottato in assenza di contraddittorio.

La normativa relativa al contraddittorio preventivo appare più rigorosa rispetto a quella riguardante l’accertamento con adesione, dove il mancato avvio del contraddittorio invalida l’avviso di accertamento solo se il contribuente dimostra in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere. Questa prova, conosciuta come “prova di resistenza”, richiede al contribuente di dimostrare in Tribunale che l’omissione del contraddittorio gli abbia impedito di presentare elementi che avrebbero potuto influenzare la quantificazione della pretesa fiscale. Tuttavia, secondo i princìpi della legge delega e quanto precisato nella relazione illustrativa, la prova di resistenza non dovrebbe più essere necessaria[42].

Sebbene la norma non indichi come debba essere realizzata la comunicazione al contribuente, la dottrina ritiene necessaria una vera e propria notifica, soprattutto considerando che il termine indicato al contribuente per le controdeduzioni determina una dilazione del termine di decadenza per notificare l’atto di accertamento[7]. L’atto finale, infatti, non può essere adottato prima della scadenza del termine di cui al primo periodo del comma 3[43].

Il comma 3, inoltre, ammette la possibilità per il privato di accedere agli atti del fascicolo e si rivela di particolare innovatività dal momento in cui non era previsto, prima della riforma, il diritto di accesso agli atti del procedimento in itinere.

Il comma 4, infine, prevede un obbligo di motivazione rafforzata in ordine alle osservazioni del contribuente che si ritiene di non accogliere, adempiuto solo in presenza di adeguata argomentazione sulle ragioni del mancato accoglimento; a tal proposito, deve rimarcarsi come l’onere motivazionale sembri analogo a quello richiesto dall’art. 10-bis della l. 241 del 1990.

Note

[1] Fondazione Pacioli L., (2002), Statuto in materia dei diritti del contribuente. Studio n. 2, Documento n. 7 del 25 marzo 2002, 3 ss.

[2] Ibidem.

[3] Ibidem.

[4] Ibidem.

[5] Carnevale P., (1999), Riflessioni sul problema dei vincoli all’abrogazione futura: il caso delle leggi contenenti clausole di sola abrogazione espressa nella più recente prassi legislativa, Trasformazioni della funzione legislativa, vol. I, 263.

[6] Pinelli C., (2001), Sulle clausole rafforzative dell’efficacia delle disposizioni dello Statuto dei diritti del contribuente, Lo Statuto dei diritti del contribuente, Atti del Convegno, Jesi, 6 marzo 2001.

[7] Fondazione Pacioli L., (2002), Statuto in materia dei diritti del contribuente. Studio n. 2, Documento n. 7 del 25 marzo 2002, 5.

[8] Ibidem.

[9] Rescigno G. U., (1964), Leggi di interpretazione autentica e leggi retroattive non penali incostituzionali, Giur. Cost., 770 ss.

[10] Fondazione Pacioli L., (2002), Statuto in materia dei diritti del contribuente. Studio n. 2, Documento n. 7 del 25 marzo 2002, 6.

[11] Ibidem.

[12] Ibidem.

[13] De Siervo U., (2001), Relazione tenuta a Roma in occasione dell’incontro di studi dal tema: “Lo Statuto dei diritti del contribuente”, marzo 2001.

[14] Miceli R., (2001), Il diritto del contribuente al contraddittorio nella fase istruttoria, in Riv. Dir. Trib., vol. I, 370 ss.

[15] Ibidem.

[16] Ibidem.

[17] In tal senso, si veda la circolare n. 1 del 2018, con la quale la Guardia di Finanza ha precisato come «una costruttiva ed equilibrata dialettica, adeguatamente formalizzata, fra verificatori e soggetto ispezionato sia non solo opportuna ma anche doverosa».

[18] Corte di giustizia UE, 18 dicembre 2008, causa C–349/07.

[19] Miceli R., (2005), La partecipazione del contribuente alla fase istruttoria, Statuto dei diritti del contribuente, A. Fantozzi – A. Fedele (a cura di), 670.

[20] Ibidem.

[21] Tesauro F., (2013), In tema di invalidità dei provvedimenti impositivi e di avviso di accertamento notificato ante tempus, in Rass. Trib., 1137.

[22] Ibidem.

[23] C. Cass., 18906/2011, C. Cass., 18184/2013, C. Cass., 15311/2014.

[24] Su questo argomento è di recente intervenuta anche la Suprema Corte di Cassazione, la quale ha affermato che «ai sensi del combinato disposto di cui alla l. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, ed alla l. n. 241 del 1990, artt. 3 e 21-septies, l’avviso di accertamento, emanato prima della scadenza del termine dei sessanta giorni, da parte degli organi di controllo, non è per ciò stesso nullo ma, atteso il generale obbligo di motivazione degli atti amministrativi, ivi compresi quelli dell’Amministrazione Finanziaria, tal’è da considerarsi solamente laddove non rechi motivazione sull’urgenza che ne ha determinato una siffatta adozione».

[25] Califano C., (2010), Sull’invalidità dell’avviso di accertamento emanato senza contraddittorio anticipato, Giur. It., n. 6/2010, 447.

[26] Montagna A., (2018), Lo Statuto del contribuente anche alla luce del Codice Europeo del contribuente: condivisione dei principi comunitari e nazionali; riflessi sulla validità degli atti, in Le nuove frontiere del diritto tributario sostanziale e processuale: sviluppi evolutivi ed integrazioni europee, 11.

[27] Fondazione Pacioli L., (2002), Statuto in materia dei diritti del contribuente. Studio n. 2, Documento n. 7 del 25 marzo 2002, 13.

[28] Magistro L., (2000), Chiarezza e motivazione degli atti dell’Amministrazione finanziaria, Corr. Trib., 2751.

[29] Ibidem.

[30] Fondazione Pacioli L., (2002), Statuto in materia dei diritti del contribuente. Studio n. 2, Documento n. 7 del 25 marzo 2002, 14.

[31] Ivi, 15.

[32] Montagna A., (2018), Lo Statuto del contribuente anche alla luce del Codice Europeo del contribuente: condivisione dei principi comunitari e nazionali; riflessi sulla validità degli atti, in Le nuove frontiere del diritto tributario sostanziale e processuale: sviluppi evolutivi ed integrazioni europee, 15.

[33] Ibidem.

[34] Fondazione Pacioli L., (2002), Statuto in materia dei diritti del contribuente. Studio n. 2, Documento n. 7 del 25 marzo 2002, 12.

[35] Ibidem.

[36] Miceli R., (2001), Il diritto del contribuente al contraddittorio nella fase istruttoria, in Riv. Dir. Trib., vol. I, 391.

[37] In tal senso, si esprime la relazione illustrativa al D.Lgs. n. 219 del 2023, che mutua espressamente la previsione di cui all’art. 41 della Carta di Nizza.

[38] Fondazione Anci, (2023), Nota di approfondimento. Nuovo Statuto dei diritti del contribuente, 3 ss.

[39] Ibidem.

[40] D’altronde, la stessa Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha ribadito, con un orientamento granitico, che, in sede di contestazione del mancato svolgimento del contraddittorio preventivo, il contribuente debba palesare le ragioni che avrebbe fatto valere nel procedimento qualora il contraddittorio fosse stato rispettato e che «l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio) si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto» (Corte di Cassazione, SS.UU., sentenza 9 dicembre 2015 n. 24823).

[41] Ibidem.

[42] Fondazione Anci, (2023), Nota di approfondimento. Nuovo Statuto dei diritti del contribuente, 7.

[43] Ivi, 8.

[44] Ibidem.

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