Con la sentenza n. 12380 del 17/05/2017, la prima sezione civile della Corte di Cassazione ha chiarito, in materia di cittadinanza, i requisiti richiesti dall’art. 4 L. 91/1992 per l’acquisto della cittadinanza italiana.
Il caso in esame
Una ragazza nata in Italia da genitori immigrati dall’ex Jugoslavia richiedeva il riconoscimento della cittadinanza italiana per essere nata nonché residente in Italia dalla nascita e fino al raggiungimento della maggiore età in modo continuativo.
La Corte d’appello di Bologna, confermando la pronuncia di primo grado, rigettava tuttavia la richiesta dell’istante motivando il diniego sulle risultanze probatorie.
Era emerso infatti che i genitori avevano indicato nell’atto di nascita la loro residenza all’estero e che solo 4 anni più tardi avevano richiesto l’iscrizione della figlia all’anagrafe.
Secondo i giudici di merito, tale discrasia temporale tra l’atto di nascita (1991) e l’iscrizione all’anagrafe (1995) non consentirebbe di dimostrare la continuativa residenza della giovane in Italia; anzi, proprio l’indicazione di una residenza estera nell’atto di nascita “prevale in quanto atto consapevole e partecipato”.
La cittadinanza italiana per residenza
L’art. 4 della Legge 91/1992, al secondo comma, prevede che “lo straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età, diviene cittadino se dichiara di voler acquistare la cittadinanza italiana entro un anno dalla suddetta data”.
Ebbene, secondo la Corte, tale disposizione va interpretata nel senso che occorre una residenza in Italia, da un lato, effettiva e non formale, e, dall’altro, non in violazione delle norme che regolano l’ingresso, la circolazione ed il soggiorno degli stranieri.
E l’iscrizione tardiva all’anagrafe non può né deve condizionare questo accertamento.
Secondo la Corte, l’eventuale ritardo nella regolarizzazione della residenza da parte dei genitori (come nel caso in esame) si giustificherebbe infatti con la loro condizione di cittadini stranieri sicuramente non in possesso delle competenze necessarie a conoscere i requisiti richiesti per l’acquisto della cittadinanza italiana.
Un ostacolo che comunque può essere facilmente superato producendo documentazione che comprovi la stabile residenza in Italia della ricorrente negli anni dalla nascita all’iscrizione all’anagrafe.
Nel caso di specie, sono state prodotte certificazioni delle vaccinazioni eseguite a Bologna tra il 1991 e il 1995, i libretti di lavoro paterno che dimostrano la sua abituale residenza in Italia nonché la percezione degli assegni familiari che attestano l’inclusione della minore nel nucleo familiare anche prima dell’iscrizione all’anagrafe.
Peraltro, come evidenziato dalla circolare ministeriale n. 22 del 2007, l’eventuale iscrizione anagrafica tardiva del minore non può pregiudicare l’acquisto della cittadinanza italiana quando vi sia in concreto la residenza effettiva.
Decisione della Corte e principio di diritto
Alla luce di quanto affermato, ha pertanto errato la Corte d’Appello di Bologna nel non aver assunto come parametro normativo dell’accertamento da svolgere la residenza effettiva della ricorrente e avendo dato rilievo assorbente alla dichiarazione, del tutto contrastante con i molteplici riscontri probatori contrari posti a base della domanda di cittadinanza.
L’accertamento del giudice di merito avrebbe infatti dovuto essere svolto in concreto e non in astratto, ricorrendo al criterio della residenza effettiva.
Per tale motivo la Corte ha annullato con rinvio la sentenza della Corte d’Appello di Bologna, enunciando, ai fini del riconoscimento della cittadinanza italiana, il seguente principio di diritto:
“La definizione giuridica di residenza, mutuabile dalle disposizioni processuali in materia di notificazione degli atti giudiziari, si fonda sul criterio della effettività da ritenersi prevalente sulla residenza anagrafica”.